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L’elmetto del re soldato

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20 lire elmetto

«Vittorio Emanuele III era cresciuto, ma solo di testa e di tronco. Di arti era rimasto sottosviluppato, e sulle gambe rachitiche si reggeva a stento», racconta Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia. Il re era alto solo un metro e 53 centimetri e questa caratteristica fisica gli era valsa l’appellativo di “sciaboletta”, per la lunghezza ridotta della sciabola appositamente predisposta per lui. Il nomignolo mal si accordava con l’altro soprannome, più altisonante, di “re soldato”. Il sovrano l’aveva guadagnato durante la prima guerra mondiale, non tanto per effettivi incarichi di comando, quanto perché aveva seguito da vicino l’andamento del conflitto con numerose visite al fronte.

Il sovrano appare proprio come re soldato nel 20 lire d’argento emesso nel 1928 per celebrare il decennale della vittoria italiana nella battaglia del Piave. La moneta, quasi come una fotografia istantanea del clima storico e politico del periodo in cui fu emessa, è un concentrato di elementi simbolici intrisi della retorica del governo di Mussolini, il quale, da abile comunicatore, seppe sfruttare il potenziale propagandistico di questa coniazione.

Il 20 lire d’argento del 1928

Sul diritto il re appare con l’uniforme militare, accennata dal colletto con la stelletta a cinque punte, e il riconoscibile elmetto “Adrian”, il modello usato dal regio esercito durante la Grande guerra. Se nella monetazione precedente le scelte iconografiche di Vittorio Emanuele III sembravano sottolineare la non completa coincidenza fra monarchia e governo fascista, con il 20 lire “Elmetto” si rende palese l’adesione alla retorica militarista tipica del regime.

Sul rovescio compaiono numerosi e inequivocabili elementi del nuovo corso: la doppia data in numeri romani, a sottolineare l’ormai consolidata “era fascista”; la dicitura “Italia” al posto di “Regno d’Italia”; il fascio littorio con la protome leonina che, con la sua carica simbolica, rende il rovescio molto più vibrante e d’impatto rispetto al ritratto de re, il quale, sebbene collocato come consuetudine sul  diritto, appare già invecchiato, nei tratti del viso e nell’uniforme di una battaglia ormai lontana nel tempo.

Moneta 20 lire elmetto

Moneta d’argento 20 lire Elmetto (Regno d’Italia, 1928) – Peso 20 gr; Diametro 35,5 mm

Sempre sul rovescio, sulla scure posta a destra, campeggia il proverbiale motto “Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”, che riprende l’iscrizione attribuita all’ignoto “fante del Piave”. La massima, di origine risorgimentale, fu utilizzata in ambito militare durante la prima guerra mondiale. Fu poi ripresa da Mussolini, abile comunicatore, che diede a quello slogan d’effetto la maggior risonanza possibile, anche grazie alla moneta.

Il 20 lire d’argento, opera del rinomato incisore Giuseppe Romagnoli, fu coniato dalla zecca di Roma con titolo d’argento pari a 600 e peso di 20 grammi. Il maggior spessore rispetto al precedente 20 lire littore del 1927 (15 grammi) e il maggior spessore, lo rese più gradito alla popolazione, perché simile allo “scudo” del periodo precedente la guerra.

Vittorio Emanuele III e il regime

Vittorio Emanuele III nacque a Napoli l’11 novembre 1869. Divenne re d’Italia il 29 luglio 1900, dopo l’assassinio del padre Umberto I, e rimase sul trono fino al 9 maggio 1946, giorno della sua abdicazione. In 46 anni di regno partecipò a due guerre mondiali, assistette all’introduzione del suffragio universale (prima maschile, poi femminile), alla nascita, ascesa e caduta del fascismo, alla promulgazione delle leggi razziali e alla fine della monarchia. Fu anche imperatore d’Etiopia e re d’Albania. Nel 1911 celebrò con tutti gli onori il cinquantesimo anniversario dell’unità nazionale, inaugurando a Roma il Vittoriano, dal nome del primo re d’Italia, suo nonno Vittorio Emanuele II. Secondo molti storici Vittorio Emanuele III avrebbe potuto cambiare il corso della storia italiana; su di lui, che fu l’ultimo effettivo re di Italia, pesano ancora oggi molte ombre.

Tra le sue più grandi responsabilità, vi fu quella di aprire a Benito Mussolini le porte delle istituzioni. Nei giorni della marcia su Roma delle camicie nere, nell’ottobre 1922, gli consegnò il paese, affidandogli l’incarico di formare un governo. Secondo gli storici l’avrebbe fatto per timore che l’esercito si ribellasse; o forse per il timore degli atteggiamenti ostili del duca d’Aosta, già designato da Mussolini quale nuovo re d’Italia nel caso di un’opposizione da parte di Vittorio Emanuele III. Più probabilmente il re pensava che il fascismo potesse rappresentare un argine alle tensioni sociali che allora scuotevano l’Italia.

La sua passività nei confronti dell’introduzione di leggi sempre più antidemocratiche e della politica bellica del governo, la fuga a Brindisi dopo l’armistizio dell’8 settembre, che diede tempo ai tedeschi di organizzarsi e liberare Mussolini, esponendo l’Italia a ulteriori 20 mesi di guerra, gettarono un’ombra incancellabile sul prestigio del re e sulla monarchia.

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