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Ddl concorrenza, Filippo Bolaffi: bene autocertificazione per esportazione opere d’arte ma rimangono perplessità

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Filippo Bolaffi, amministratore delegato del Gruppo Bolaffi: «L’approvazione del Ddl concorrenza, che contiene modifiche alle leggi sull’esportazione delle opere d’arte, è una buona notizia per il nostro commercio spiccio, ma rimangono alcune perplessità. L’autocertificazione elimina una lunga trafila burocratica per pezzi di valore relativamente basso (uguale o inferiore ai 13.500 euro) o abbastanza recenti (meno di 70 anni), stimolando gli acquirenti stranieri che non avevano voglia di aspettare mesi e mesi per pezzi non di grande rarità, comunque reperibili anche in altri mercati molto più “agili”.

Tuttavia, il prezzo di mercato non sempre coincide con l’importanza storico-culturale di un oggetto. Infatti, nonostante la nuova norma, continueremo a perdere tempo, e a perdere clienti stranieri, per oggetti cari ma che, per il loro valore “culturale” modesto, non sono degni di esser conservati all’interno dei confini nazionali. Dall’altro lato, a volte oggetti di minor valore potrebbero non essere anche culturalmente minori.

Temo che l’apparente maggior libertà di commercializzare introdotta dal DDL concorrenza potrebbe invece comportare che, in sostituzione, le Soprintendenze eccedano del già abusato strumento preventivo dell’avvio del procedimento d’interesse culturale, la cosiddetta “notifica”, per bloccare una miriade di oggettini, su cui poi lo Stato non sarà comunque obbligato a esercitare la prelazione (come invece in altri Paesi europei avviene) con l’unico risultato di vietarne l’esportazione.

Sulla materia rimangono dunque ancora delle perplessità, in particolare riguardo all’istituto della notifica affidato alla soggettività dei singoli funzionari delle  Soprintendenze.

C’è poi da sottolineare che all’esame del Senato c’è un DDL (n. 2864) presentato dal ministro Franceschini che dovrebbe inasprire le pene per chi commette reati contro il patrimonio culturale: l’intenzione è ottima ma purtroppo, per l’attuale stesura – e soprattutto alla luce della libera interpretazione delle norme a monte – rischia di rendere il commercio di beni da collezione ancora più complicato. Il mio sogno, credo inesaudibile, sarebbe che il padre del Codice dei beni culturali, il Prof. Urbani, potesse rimettere mano alla sua creatura, da un lato spiegando ai legislatori attuali quello che aveva in mente all’epoca, dall’altro aggiornandolo alla luce del naturale evolversi della materia».

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