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La moneta di Bruto: minaccia velata o segno premonitore?

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Minaccia velata o segno premonitore? È nota ai più la dinamica dell’uccisione di Giulio Cesare, colpito a morte da 23 coltellate alle idi di marzo del 44 a.C. Tra i congiurati c’era Marco Giunio Bruto, oggi conosciuto per la fase attribuita all’imperatore in punto di morte: “Tu quoque, Brute, fili mi!”. Meno noti sono i segnali che facevano presagire quello che sarebbe successo, in particolare le effigi che Bruto fece incidere 10 anni prima sulla moneta d’argento da un denario, raffiguranti due antenati ardenti repubblicani ed oppositori della monarchia: Lucio Giunio Bruto e Gaio Servilio Ahala. Proprio allora cresceva in Bruto quel sentimento che in seguito lo portò ad aderire alla congiura.

Marco Giunio Bruto, l’assassino di Giulio Cesare

Marco Giunio Bruto nacque intorno all’anno 85 a.C. e parteggiò per gli oppositori di Giulio Cesare nella sanguinosa lotta per il potere che ne vide il trionfo.

Giulio Cesare aveva grande ammirazione per Bruto, così, dopo aver conquistato definitivamente il potere, gli conferì importanti cariche pubbliche e, secondo una tradizione peraltro priva di riscontri, lo adottò. Tuttavia Bruto, insofferente per il potere accumulato da Giulio Cesare e per il desiderio di ripristinare l’ordine costituzionale repubblicano, fu tra i promotori della congiura contro di lui ed anzi, secondo la tradizione anche in questo priva di riscontri certi, partecipò personalmente alla sua uccisione.

Costretto a fuggire da Roma insieme ad altri congiurati per la reazione dei seguaci di Cesare, fu da essi inseguito fino in Macedonia dove, battuto definitivamente nella famosa battaglia di Filippi, si suicidò nel 42 a.C.

Le monete di Bruto

Le monete che tradizionalmente vengono attribuite a Bruto in quanto personaggio di spicco del periodo pre-iperatoriale sono tutte successive all’uccisione di Cesare, ma esistono anche altre monete a lui riconducibili emesse nel periodo precedente. Queste vengono considerate come appartenenti genericamente alla monetazione repubblicana in quanto, al momento della loro emissione, Bruto era uno degli uomini politici titolari di cariche pubbliche.

Il denario d’argento di Marco Giunio Bruto

Il denario d’argento di Bruto risalente al 54 a.C. illustrava la sua personalità in modo altrettanto adeguato alle monete successive all’uccisione di Cesare sulle quali aveva fatto incidere riferimenti espliciti all’assassinio dell’imperatore e, simbolicamente, della monarchia.

La Gens Junia, alla quale bruto apparteneva, rivendicava la propria discendenza da un certo Junius Brutus, vissuto molti secoli prima e leggendario oppositore dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Da tale episodio iniziò per Roma il periodo repubblicano, con le sue istituzioni rigorosamente pensate per impedire il riemergere di propensioni monarchiche nelle persone che via via assumevano cariche pubbliche. Per questo motivo, quando Bruto assunse la carica di magistrato monetario, dispose la coniazione di un denario che riportava al diritto l’effigie dell’illustre antenato.

Denario di Bruto

Denario d’argento di Bruto (Antica Roma, 54 a.C.) – Peso: gr 3,90 ca.; Diametro: mm. 18 ca.

Inoltre, ad ulteriore manifestazione pubblica della sua avversione per le tentazioni monarchiche che andavano manifestandosi nella vita politica, Bruto fece emettere al rovescio l’effigie di Servilio Ahala, altro leggendario protagonista di un episodio simile, seppur minore della storia romana. Servilio Ahala aveva infatti ucciso con le sue stesse mani un certo Spurio Melio, accusato di voler piegare le istituzioni repubblicane alle sue ambizioni monarchiche. Per parte di madre, che apparteneva alla Gens Servilia, Bruto rivendicava la discendenza anche da questo secondo personaggio.

Con questa moneta, bruto intese manifestare pubblicamente il suo collegamento ideale con l’operato dei suoi antenati e possiamo dire che assunse un carattere di premonizione rispetto all’uccisione di Cesare, episodio accaduto dieci anni dopo e che consegnò Bruto alla storia.

Diritto: Lucio Giunio Bruto

Secondo la leggenda, Lucio Giunio Bruto, vissuto nella seconda metà del VI secolo a.C., era figlio di una sorella di Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma. In seguito ad un brutto episodio di cui era stata vittima la madre, promosse una rivolta popolare contro Tarquinio, riuscendo a cacciarlo dalla città, e fu eletto console dal popolo, primo nella lunga storia repubblicana di Roma. Infine, morì in uno scontro militare contro Tarquinio e i suoi seguaci che tentavano di riprendersi il potere. Da quel momento la sua figura divenne per i romani un simbolo di libertà.

Lucio Giunio Bruto era ritenuto l’ispiratore dell’ordinamento costituzionale repubblicano, nel quale un rigoroso sistema di pesi e contrappesi impediva il riemergere di tentazioni monarchiche nelle persone che assumevano cariche pubbliche. La Gens Junia, quindi anche Marco Giunio Bruto, rivendicava la sua discendenza da lui.

Rovescio: Gaio Servilio Ahala

Altrettanto leggendaria è la figura di Gaio Servilio Ahala, personaggio vissuto nel V secolo a.C. nell’Antica Roma.

Nel 439 a.C. si era verificata una crisi alimentare che provocava malcontento diffuso nella popolazione. Un certo Spurio Melio, persona facoltosa di origine plebea, tentò di approfittare della situazione con doni alimentari per ingraziarsi il popolo, ma allo stesso tempo ammassava armi e teneva riunioni segrete in cui progettava la restaurazione della monarchia.

In situazioni del genere, l’ordinamento costituzionale repubblicano prevedeva la possibilità di nominare un dictator, figura che per un tempo limitato riassumeva in se tutti i poteri e poteva quindi prendere decisioni rapide. Il Senato, d’intesa con i consoli, nominò dictator Cincinnato, un nobile ultraottantenne che veniva ritenuto in grado di fronteggiare la situazione per via del prestigio popolare di cui era circondato. A sua volta, questi nominò magister equitum (in pratica, suo sostituto) Gaio Servilio Ahala e lo inviò da Spurio Melio per trascinarlo in giudizio e chiedergli conto del suo operato. Di fronte alla resistenza opposta dalle guardie del corpo, vi fu un breve combattimento nel quale Ahala pugnalò a morte Spurio Melio.

Divenne così un simbolo della difesa delle libertà repubblicane di fronte ad ogni tentativo di ripristinare un ordine monarchico. Per parte di madre, che apparteneva alla gens Servilia, Bruto rivendicava la discendenza anche da questo secondo personaggio.

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