L’esperienza del Governo Popolare di Bologna fu breve, ma intensa. Nato sull’onda delle insurrezioni avvenute in Italia nel 1796, tra le esperienze municipalistiche dell’epoca, fu l’unica completa che poteva vantare una produzione monetaria. Sono proprio le monete emesse in questo contesto che ancora oggi testimoniano i sentimenti e gli eventi che portarono alla formazione della Repubblica Cispadana.
Nella primavera del 1796, quando le armate napoleoniche fecero il loro ingresso in Italia al comando del giovane generale Napoleone Bonaparte, l’opinione pubblica democratica credette che fosse finalmente scoccata l’ora di quella libertà che gli avvenimenti della Francia rivoluzionaria avevano fatto balenare già da qualche anno. Questo convincimento si rafforzò quando Napoleone penetrò in Lombardia puntando su Milano, dove ricevette accoglienze trionfali, spingendo all’azione le popolazioni dell’Italia settentrionale.
Così nell’estate del 1796 insorse Reggio Emilia, cacciando gli Estensi, Duchi di Modena e Reggio, seguita a breve da Bologna, Modena e Ferrara, che diedero vita ad una confederazione di città repubblicane, sia pure ciascuna ancora animata da pulsioni municipalistiche. Tuttavia in poco tempo Napoleone ebbe ragione del municipalismo e, a cavallo fra la fine del 1796 e l’inizio del 1797, promosse l’unificazione delle quattro città in una Repubblica, definita Cispadana, in quanto situata tutta al di qua del fiume Po.
I primi movimenti rivoluzionari nell’Italia settentrionale riguardarono quattro città, Bologna, Ferrara, Modena e Reggio ed ebbero una forte impronta localistica, dovuta alla diversa situazione politico-istituzionale di ciascuna città.
Bologna e Ferrara facevano parte dello Stato Pontificio, ma sotto due Legazioni diverse, ciascuna con una propria legislazione e una propria moneta, mentre Modena e Reggio erano entrambe governate dagli Estensi, ma facevano riferimento a due diversi feudi imperiali risalenti al medioevo ed avevano anch’esse legislazioni e monete diverse.
In quella situazione la monetazione dei Governi Popolari si sviluppò solo a Bologna, la città di maggiori dimensioni, nella quale l’entità delle transazioni economiche che vi si svolgevano richiedeva il ricorso a una moneta propria.
Le emissioni del Governo Popolare di Bologna sono sostanzialmente tre: Scudo da 10 Paoli, Due Carlini e Carlino
Un grande stemma pseudo ovale della città compare sullo scudo d’argento di Bologna dal valore nominale di 10 paoli. Ornato ai lati da rami di alloro e inquartato col motto LIBERTAS, è sovrapposto a un leone stante di fronte, del quale si scorgono la testa, che sormonta lo stemma, e ai lati i due artigli, che lo sostengono. la legenda riporta una scritta che tradotta recita “Il Popolo e il Senato di Bologna”.
Al rovescio è raffigurata la Vergine fra le nubi, velata e vista di fronte, che tiene il Bambino fra le braccia e sovrasta, come a proteggere, una veduta della città con le torri in bella evidenza. La legenda riporta la scritta “Protezione e Onore”.
Sia al diritto, sia soprattutto al rovescio, esistono molte piccole varianti che riguardano lo stemma e la veduta della città.
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Anche sul diritto della moneta da due carlini del Governo Popolare di Bologna, come per lo scudo, compare il grande stemma pseudo ovale della città che è però semplificato e adattato allo spazio disponibile, di minori dimensioni. La legenda è leggermente diversa e suona: “La Comunità e il Senato di Bologna”.
Al rovescio, due rami di alloro chiusi a cornice racchiudono la scritta: “Due Carlini bolognesi” su quattro righe orizzontali.
Il diritto della moneta da un carlino è identico a quello dei due carlini, mentre al rovescio compaiono due rami di alloro chiusi a cornice racchiudono la scritta: “Un Carlino bolognese” su quattro righe orizzontali.
Le monete del Governo Popolare di Bologna ebbero vita breve, ma influenzarono i secoli a venire. Infatti, i nome “carlino” continuò nell’uso popolare a indicare una moneta in argento di piccolo modulo anche nel XIX secolo, e ha lasciato traccia nel nome del quotidiano storico di Bologna, che, come è noto, si chiama “Il resto del carlino”.
La motivazione del nome curioso di questa pubblicazione sta nel fatto che alla fine del XIX secolo, quando il giornale fu fondato, un sigaro costava 8 Centesimi e veniva normalmente acquistato con una moneta da 10 Centesimi, popolarmente definita Carlino, per la quale, come resto, l’acquirente riceveva una moneta da 2 Centesimi, che rappresentava proprio il prezzo del quotidiano al pubblico. L’abilità commerciale dell’esercente consisteva nel far accettare al cliente una transazione nella quale con un solo pagamento venivano acquistati due prodotti, anche se la sua richiesta riguardava solo uno di essi.
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