Il volto della dea Artemide, la figlia ribelle di Zeus, compare su diverse monete d’argento coniate ad Anfipoli, la città perduta che un tempo fu un centro fiorente della Macedonia, crocevia dei commerci attraverso il Mediterraneo e teatro di importanti battaglie. Artemide era infatti la divinità principale di questa città, molto legata all’intera regione macedone, al punto che, secondo il mito, partecipò alla nascita di Alessandro Magno che successivamente ne sarebbe diventato re.
Artemide, figlia di Zeus e Leto e gemella di Apollo, era la dea della caccia, della selvaggina, delle foreste e della fertilità.
Giovane, indipendente, protetta dal padre Zeus, si distinse per il suo carattere ribelle. Secondo il poeta Callimaco, il padre le aveva strappato la promessa di non doversi mai sposare, di poter rimanere illibata e di essere sempre accompagnata da cani da caccia, cervi e ninfe. Nonostante l’importanza della sua famiglia, Artemide disdegnava l’Olimpo, prediligendo le selve.
Nel tempo libero si dedicava all’attività venatoria e, talvolta accompagnava il gemello Apollo in sortite contro i mortali. Un caratterino non facile, quello della signorina Artemide. Chi la indispettiva veniva trafitto dalle sue frecce infallibili o sbranato dai suoi cani. Una divinità ferina, crudele, a tratti feroce, ma molto amata soprattutto dalle fanciulle, lei, femminista ante litteram.
Il culto di Artemide durò secoli e in suo onore venne costruito un importante tempio ad Efeso. C’erano voluti 120 anni per erigerlo e il finanziamento del re della Lidia Creso, il cui solo nome evocava ricchezze senza eguali. Quando vide la luce, il tempio di Artemide, detto Artemision, era una delle sette meraviglie del mondo. La sua fama echeggiava nell’intero Mediterraneo e i fedeli intraprendevano lunghi viaggi per recarvisi in pellegrinaggio.
Secondo fonti storiche dell’epoca, il tempio venne bruciato la notte stessa della nascita di Alessandro Magno, il 21 luglio del 356 a.C. La leggenda narra che Artemide sarebbe andata ad assistere al parto, in quanto uno dei suoi appellativi era Eileithya (colei che sovraintende ai parti felici).
Il tetradramma di Artemide è un’importante moneta d’argento dell’Antica Grecia con un diametro di circa 31 mm e un peso di 16,85 grammi, emessa tra il 167 e il 149 a.C. nella città macedone di Anfipoli.
Al diritto, è presente uno scudo macedone al cui centro è raffigurata la testa di Artemide, mentre trasversalmente dietro al collo si intravedono un arco e una faretra. Al rovescio, è presente una clava posta verticalmente e rivolta verso l’alto. Ai suoi lati, dal basso verso l’alto, compare il nome della regione in caratteri greci. Il tutto è racchiuso all’interno di una corona di quercia, alla base della quale è visibile un fulmine.
Le vicende della regione della Macedonia seguono quelle del regno omonimo, che raggiunse il suo momento di massima espansione nella seconda metà del IV secolo a.C., nel periodo di Filippo II e di Alessandro Magno.
Dopo una lunga ma inesorabile decadenza lungo tutto il III secolo a.C., all’inizio del II secolo il regno subiva già una forte influenza da parte della potenza di Roma in piena espansione nel Mediterraneo, finché nel 168 a.C. l’ultimo re fu sconfitto definitivamente e deposto dalle armi romane. La Macedonia divenne una sorta di protettorato romano con ampia autonomia amministrativa e fu suddivisa in quattro distretti, i cui capoluoghi erano Anfipoli, Pelagonia, Pella e Tessalonica.
La città perduta di Anfipoli era un antico centro della Tracia affacciato sul Mar Egeo, immediatamente a est della penisola calcidica. Fu teatro della cruenta battaglia di Anfipoli, uno scontro della guerra del Peloponneso, combattuto tra Atene e Sparta tra il 424 a.C. e il 422 a.C., che terminò con la sconfitta degli attici.
La sua importanza nell’antichità deriva dall’ubicazione, che ne faceva uno snodo di rilievo sulle rotte commerciali dell’epoca, in prossimità del monte Pangeo, nel quale era stata scoperta una miniera d’oro.
Dopo un lungo periodo di autonomia, nel 357 a.C. fu annessa al regno di Macedonia da Filippo II, che vi stabilì una delle sue zecche più importanti, e nel 168 a.C., divenne capoluogo di una dei quattro distretti amministrativi nei quali la regione fu suddivisa quando entrò nell’orbita della potenza romana.
Dopo alterne vicende la città fu lentamente abbandonata dai suoi abitanti e non si ha più notizia di lei nel periodo medioevale. In epoca moderna sono state portate alla luce le sue rovine e, nelle vicinanze di esse, è sorto un piccolo villaggio greco che porta il suo nome. Anfipoli compare anche nella serie tv “Xena la principessa guerriera”, popolare nella seconda metà degli anni ’90: è infatti la città natale della protagonista, interpretata da Lucy Lawless.
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